Problemi etici e ricerca sulle cellule staminali
Raffaele Sinno.
L’attuale dibattito giuridico circa l’impiego di cellule staminali in pazienti pediatrici, con malattie rare, ha riavviato una discussione mai sopita sul loro valido uso scientifico e i rispettivi dilemmi etici. E’ noto che il confronto bioetico si è soffermato a lungo sulla questione della liceità, o meno, della produzione di embrioni con lo scopo di utilizzare cellule staminali in diverse applicazioni biotecnologiche. Per cellule staminali si devono intendere delle unità biologiche indifferenziate che possono replicarsi, e dare origine sia a una nuova cellula staminale, oppure essere capaci di differenziarsi in differenti linee cellulari, da quelle cerebrali, cardiache o epidermiche. Dopo la fecondazione dell’ovocellula da parte dello spermatozoo, avviene un processo di specializzazione biologica, tale da generare cellule che sono in grado svolgere specifiche funzioni e non altre. Fino allo stadio della morula, ovvero una struttura di circa otto blastomeri, tutte le cellule sono totipotenti, nel senso che se vengono separate possono, ognuna di esse, dare origine a un individuo geneticamente identico. Dalla morula, vale a dire a sedici blastomeri, le cellule perdono progressivamente la loro totipotenza, e diventano pluripotenti, ossia capaci di dare origine a diverse linee cellulari, ma non a tutte. In seguito quando si formeranno i tre foglietti embrionali (endoderma, mesoderma, ectoderma), le cellule staminali diverranno multipotenti, cioè formeranno esclusivamente cellule di quello specifico foglietto embrionale. Questa suddivisione in totipotenti, pluripotenti e multipotenti è di fondamentale importanza per comprendere il concetto che esse possono essere prelevate dall’embrione, direttamente da feti soprannumerari prodotti con le tecniche di fecondazione in vitro, oppure dal sangue del cordone ombelicale o direttamente dall’adulto.
Questa riflessione non si prefigge lo scopo di riconfermare la validità scientifica e clinica del prelievo delle cellule staminali adulte o di quelle del cordone ombelicale, al contrario si prefigge di far emergere gli aspetti negativi sociali del metodo Stamina. Si tratta di una tecnica sperimentata e messa in atto dal prof Davide Vannoni, che prevede l’infusione di cellule staminali mesenchimali. Tale pratica consiste nel prelievo di una striscia di alcuni millimetri di osso dal donatore, con successivo isolamento delle cellule staminali, le quali in seguito possono essere infuse per via endovenosa, oppure iniettate direttamente nel rachide lombare. Questa metodica, non convalidata scientificamente, è stata utilizzata su settanta pazienti, con la possibilità dell’uso compassionevole, e ha ripresentato gli stessi dubbi del noto caso della terapia di Bella. In questi giorni, non senza accese polemiche, sono riprese le infusioni a Sofia una bambina di tre anni affetta da leucodistrofia metacromatica, una grave malattia neurodegenerativa. L’autorizzazione è stata concessa dal ministro della Salute Renato Balduzzi, previo consenso informato e autorizzazione del comitato bioetico degli ospedali Civili di Brescia, e ha posto una fondamentale questione etica: è lecito che una terapia, non conforme alle regole della sperimentazione, possa essere negata, qualora vi sia una forte domanda da parte dei cittadini coinvolti? In quale modo è possibile disciplinare il rapporto tra richieste individuali e la difesa della salute collettiva? Una prima riflessione etica concerne il rapporto tra ricerca scientifica e norma biogiuridica, entro i limiti del principio di beneficialità e di giustizia. E’ opportuno chiarire un punto irrinunciabile: ogni procedura terapeutica deve necessariamente essere sempre sottoposta a una sua validazione internazionale, per evitarne una delegittimazione scientifica, e non ottenere il contrario di ciò che ci si prefigge. Un secondo aspetto concerne l’uso del principio di precauzione nelle applicazioni sociali di una scoperta scientifica. In effetti, non è opportuno accettare tutto ciò che l’opinione pubblica attende dalla tecnoscienza, poiché spesso il sensazionalismo operativo cela intenti non propriamente benefici. Un ulteriore punto di discussione riguarda la richiesta sollevata da diversi ricercatori di conoscere i dati della ricerca di questo metodo. Non è consentito in nessun modo, e per nessuna ragione, trincerarsi in una presunta unicità delle procedure, sottacendo o manipolando i risultati. In definitiva le terapie con le cellule staminali rappresenteranno il futuro della biomedicina, ciò nonostante esse: "Dovranno essere condotte su di una solida base scientifica, e validate secondo i parametri della ricerca medica internazionale".