Lo statuto ontologico dell’embrione: una riflessione bioetica
Raffaele Sinno.
Nel dibattito bioetico contemporaneo la questione del confronto tra i sostenitori di uno statuto proprio dell’embrione, ossia della sua appartenenza fin dall’origine alla natura umana, e coloro che al contrario vi attribuiscono tale caratteristica solo in una fase successiva della sua formazione, trova nuovi spunti di riflessione grazie alle recenti ricerche embriogenetiche. Ogni statuto, ossia ogni ordinamento di carattere giuridico ed etico, prevede che ci sia un riconoscimento formale di unitarietà, vale a dire stabilire quando e come l’embrione abbia il diritto all’esistenza e sia riconosciuto quale persona umana. Una prima questione innovativa, posta dalla bioetica, riguarda lo studio delle fasi di sviluppo embrionale, dalla sua iniziale formazione, quando s’incontrano e fondono il patrimonio genetico maschile, dello spermatozoo, e femminile, dell’ovocellula, fino alla strutturazione di un nuovo individuo della specie umana. Le nuove ricerche dell’embriologia studiano i meccanismi che determinano il destino delle prime cellule dell’embrione, infatti, il riconoscimento delle linee cellulari ci condurrà a capire in quale preciso momento l’embrione può essere considerato un individuo, consentendo di rileggere una serie di punti etici, in una nuova prospettiva biologica.
Lo statuto biologico quindi riveste una peculiare importanza per dirimere il dibattito etico, e le diverse scelte operative che ne conseguono: basti pensare che avvalorare la tesi scientifica ed etica del pre-
Il processo evolutivo biologico riconosce una sua teleologia, ossia esiste un piano di coordinazione biologica che porta alla formazione di un individuo umano, sin dalla sua origine;
Tale piano biologico non è solo formativo ma informativo, di conseguenza prevede la possibilità di correggere le eventuali disfunzioni ed errori;
Per questi due aspetti precedenti il processo è coordinato secondo le regole della spazialità e identità umana;
Le strutture genetiche, molecolari, cellulari, e tissutali coinvolte sono organizzate secondo un piano d’azione individualizzato.
L’analisi di questo statuto biologico dell’embrione determina una prima conseguenza etica: esiste un’evidente progettazione strutturale che non è inerte, al contrario rispetta l’interazione quale prima regola del suo procedere, la prima legge della specificità umana.
L’uomo, quale essere sottoposto come gli altri alle leggi biologiche della natura, possiede una sua intrinseca capacità di attuarle ed elevarle in un progetto di relazionalità; ogni suo meccanismo è a sua volta finalizzato a trascendere gli istinti, e a strutturare la stessa razionalità, nel confronto dialogico, con la ragionevolezza nella quale siamo immersi. Non siamo solo dotati solo di ragione pensiero e spirito, ma chiamati alla vocazione di trascenderli.
Una seconda conseguenza etica filosofica dallo statuto biologico dell’embrione è la seguente: "Il dato inoppugnabile è messo in chiaro dalla genetica, al momento della fertilizzazione i due gameti dei genitori formano una nuova entità biologica, lo zigote che porta un progetto che è attore principale di sé. Ne consegue che il tentativo di declassificare l’embrione a pre-
In definitiva, lo statuto ontologico dell’embrione prevede un’analisi comparata tra diverse istanze che si confrontano. In effetti, i dati genetici ed embriologici sono la base per comprendere quelli etici filosofici e giuridici, e consentono di affermare che ogni individuo è una persona dotata di un’unitarietà psicofisica spirituale. Ogni vita ha il diritto di emergere prima di ogni altra motivazione o ragione umana, per riaffermare la sua unicità, irripetibilità, chiamata all’esistenza. Solo nel rispetto di questa verità l’uomo troverà gi