La biosicurezza: nuova frontiera della bioetica
Raffaele Sinno.
Per biosicurezza si deve intendere un insieme di misure preventive per ridurre il rischio di trasmissione di malattie infettive, parassiti in quarantena, oppure di organismi viventi modificati. Tale prevenzione deve riguardare in primo luogo la fuga o il furto intenzionale, a scopo di compravendita, di materiale biologico dai laboratori di ricerca. Questa definizione, che è quella accettata dalla comunità scientifica, non tiene conto dell’ampio spettro di combinazioni preventive messe in campo da esperti per l’alimentazione e l’agricoltura. Di recente, l'11 maggio 2011, la Commissione per la biosicurezza delle Nazioni Unite, nel protocollo di Cartagena, indicava il crescente pericolo dell’estendersi delle tecniche di biologia sintetica, e semisintetica, per la produzione di risorse agricole e le possibili inferenze e alterazioni degli ecosistemi batterici. Il recente caso della diffusione dell’Escherichia coli, con patrimonio genetico modificato, dimostra che la questione della biosicurezza non può essere sottostimata, né relegata a un semplice riscontro agroalimentare, facendo emergere i delicati rapporti del controllo biopolitico con la ricerca scientifica. La definizione sopraindicata di biosicurezza si presta a numerose critiche, poiché prevenire un danno rimane un aspetto limitato della questione, mentre ciò attiene al tipo di politica che bisogna stabilire nella ricerca biosintetica nei settori agroalimentari, e della stessa produzione di farmaci. La commissione delle Nazioni unite ha indicato ambiti precisi del controllo da parte dei singoli stati che hanno aderito alla bozza di risoluzione, per l’elaborazione di una nuova carta internazionale riguardo ”La biosicurezza del materiale biologico prodotto in laboratorio”. Le aree concernenti i principali campi applicativi sono i seguenti:
Nelle ricerche agroalimentari, per ridurre i rischi di originare geni transgenici trasmissibili in generazioni successive di batteri, capaci quindi di aumentare la loro resistenza agli antibiotici e agli stessi fattori esterni, quali minore termo labilità, maggiore resistenza ai disinfestanti e diserbanti. (indicazioni già espresse nell’art. 11 del protocollo di Cartagena)
Nella ricerca medica farmacologica, per controllarne che i farmaci biologici siano sottoposti preventivamente a un più attento controllo di sicurezza; (art. 5.)
Nella ricerca chimica industriale o applicativa tecnologica, e ciò riguarda la possibilità di non diffondere nell’ambiente, prodotti di degradazione nocivi per la salute, quali derivati dei nitrati o prodotti della catena metil-
Per ottenere dei risultati tangibili e verificabili, la stessa Commissione indica percorsi di “Biosafety” da poter concordare tra enti internazionali di ricerca, con il controllo e patrocinio di organismi internazionali (quali la Comunità Europea, la National Commission Biosicurity U.S.A., l’Ente nazionale di sicurezza dagli attacchi biologici della federazione Russa, l’Organismo governativo di Controllo Nazionale dagli attacchi biologici della Repubblica Popolare Cinese), in modo particolare:
1. Organizzare una formazione permanente del personale che opera nei laboratori di ricerca;
2. Controllo e responsabilità delle autorità sanitarie, preposte alla collaborazione dei programmi di biosicurezza;
3. Informazione della popolazione civile con successivo addestramento in caso di pericoli della salute pubblica;
4. Verifica dei casi o incidenti nel corso degli ultimi decenni, con successiva e specifica difesa internazionale. (Indicazioni già espresse negli articoli 15 “Gestione dei rischi”, art. 17 “Misure di emergenza”, art. 20 “Scambio di informazioni”, del protocollo di Cartagena).
Un primo ente che ha ottemperato tali indicazioni è stato il C.D.C. (il Federal Center for Desease Control and Prevention dell’U.S.A.) che ha prontamente emanato un percorso di difesa, in caso di contaminazioni biologiche della popolazione, stimando che tali eventi saranno in aumento del 20% nel decennio 2020-
Da questo articolato quadro emerge che la comunità scientifica, e gli organismi internazionali sono vivamente preoccupati di eventi che non sono più relegati a remote possibilità, al contrario l’aumento degli episodi dimostra che la sicurezza globale non può essere che condivisa, concordata, applicata. La riflessione finale, su tale argomento innovativo nell’indagine bioetica, riguarda il concetto che, di fronte al pericolo comune, questa stessa umanità che spesso non è capace di tenere a freno le derive della ricerca, trova una condivisione etica nel salvaguardare il diritto alla vita e all’esistenza di ogni essere umano.