Raffaele Sinno.
La bioetica in questi decenni ha contribuito attivamente al dibattito tra differenti sistemi della conoscenza umana, ciò si è reso possibile per le numerose scoperte scientifiche che hanno determinato un costante sviluppo sociale, civile, e politico. Il sapere umano ha raggiunto un grado di complessità insperato, svelando i misteri di un universo che si è manifestato contemporaneamente a-centrico e poli-centrico, grazie alle capacità di superare limiti che sembravano non raggiungibili, e che a loro volta si sono trasformati in nuovi presupposti d’indagine. In tale contesto, il confronto tra la gestione "del sapere e non sapere" ha fatto emergere nuovi equilibri dinamici, rendendo possibile ciò che sembrava irrealizzabile. Ogni conquista si è verificata grazie ad un rinnovamento plastico della ragione umana, consapevole della presenza di "un oltre" non indagabile con le sue tecniche d’analisi. La bipolare capacità d’inestricarsi nel gioco presupposti-limiti ha svelato il nesso tra sapere e nescienza, tema che è stato indagato dal filosofo E. Morin, con l’utilizzo del principio conoscitivo dialogico. A riguardo scrive l’autore francese: " Il principio dialogico può essere definito come l’associazione complessa (complementare/concorrente/antagonista) di istanze, necessarie insieme all’esistenza, al funzionamento e allo sviluppo di un fenomeno organizzato".
In tale clima culturale, la bioetica ha fatto emergere l’importanza della nescienza, vale a dire di una proporzione diretta tra ciò che si acquisisce, e ciò che rimane costantemente insondabile. Pertanto, la ragione umana scopre di essere limitata nelle sue possibilità autoreferenziali, anche se ciò non annulla le possibilità che l’uomo possa comprendere il senso delle scelte, grazie al sistema della razionalità intuitiva. Scrive a riguardo H. A.Simon: "Questo modello intuitivo postula che gran parte del pensiero umano- e quindi che gran parte del successo degli esseri umani nel pervenire a decisioni valide e convincenti- sia dovuto al fatto che essi sono dotati di buone facoltà d’intuizione, quindi di giudizio". Ciò comporta che la dualità cognitiva non è riassorbita ma è rilevata dall’atto della conoscenza: quest’ultimo, a partire dalla loro separazione opera la comunicazione tra oggetto e soggetto della conoscenza; ogni conoscenza separa e lega il soggetto e l’oggetto all’interno di un universo comune. Una ragione limitata diviene in tal modo presupposto per una conoscenza ipercomplessa, poiché ogni volta che studiamo un oggetto, dobbiamo porci nella consapevolezza che è probabile che diminuisca, e non sempre aumenti l’acquisizione dei dati. Ciò dipende da fatto che affidarsi unicamente al sistema dell’omnicomprensione è fallimentare, allo stesso modo di ritenere impossibile qualsiasi livello di cognizione, presupposto utopico della nescienza. Questo concetto è emblematicamente espresso in questo passo di H.A. Simon: "Quando prendete una decisione, anche un’importante decisione, probabilmente non considerate i dettagli scenari futuri, completi di distribuzione e probabilità, condizionate dalle alternative prescelte. Avete un quadro generale del vostro stile di vita e delle vostre prospettive, nonché, forse, di uno o due principali mutamenti che ipotizzate per il prossimo futuro, e di un paio di remote eventualità". Proprio la scienza contemporanea ha dimostrato, in effetti, che non esiste una netta equivalenza tra ordine ideativo e quello applicativo: è nella scelta umana che si superano le ambivalenze negative di ciò che si è svelato. Un esempio è dato dalle diverse applicazioni dell’energia atomica o delle implicazioni sociali e politiche delle bionanotecnologie. In conclusione la bioetica ha fatto affiorare la connessione tra conoscenza e nescienza, poiché la ragione dovrà riconoscere che esistono dei limiti nel suo operare, mentre il suo traguardo è ottenere una libertà umana, intesa come relazione tra vedere e prevedere, una ricerca della nostra condizione di uomini. Urge che qualsiasi progresso sia al servizio integrale della persona umana, affinché si eviti "la sterile contrapposizione tra scienza e nescienza, tra ragione incapace di aprirsi al trascendente, e quella tecnocratica chiusa sull’immanente". Un compito ben preciso per la scienza: "Deve porre al centro del suo iter procedurale il riconoscimento del dono della vita, ricco e fecondo nei suoi percorsi d’amore".