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I diritti umani e la bioetica

Raffaele Sinno.



I diritti umani sono per definizione un insieme di diritti che consuetudini, oppure trattati internazionali, attribuiscono in linea di principio a ogni persona, indipendentemente dalla cittadinanza, dal sesso, dalle condizioni sociali, e/o da qualsiasi fattore discriminante. Sono, di fatto, diritti del cittadino e, in senso ampio, riguardano la tutela di ogni persona. Il riconoscimento dello status di diritto si basa sulla normativa internazionale e sulle attività di controllo operate dalle Nazioni Unite.  E’ noto che il riconoscimento internazionale dei diritti fondamentali segue una sua storia recente, non senza momenti di forte discussione o contrasti in ambito internazionale. Dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, si comprese che le tutele di ogni uomo, con le normative allora presenti, erano deboli o totalmente assenti. Per ovviare alle derive delle violazioni sistematiche dei diritti fondamentali, si avviò una coerente sistemazione di un opinio juris, ossia di una legiferazione che salvaguardasse un corpus di diritti definiti "non negoziabili", quali il diritto alla vita, quello alla libertà, e "non derogabili" (ius cogens), di conseguenza non eliminabili con nessun trattato o accordo tra le nazioni. Questi diritti fondamentali sono elencati nella Carta dei Diritti Umani, e negli articoli 1-21 della famosa Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.
A questi di prima generazione, si sono affiancati quelli di seconda generazione, ossia le tutele di ordine economiche, sociali, e culturali, presenti negli articoli 22-27 della D.U.D.U., presenti anche nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (PDESC), inerenti al lavoro, alla sicurezza sociale, al diritto alle cure mediche, all’educazione, approvati nel 1966. Non meno importanti sono quelli di terza generazione, vale a dire quelli civili, contenuti negli articoli 28-30 della DUDU, e quelli politici o di opinione ben delineati nel PDESC.
La nascita della bioetica, e la sua progressiva affermazione antropologica e culturale, ha determinato un successivo ampliamento della questione dei diritti perché ci si è trovati di fronte alla complessa questione dei diritti umani dei più deboli e indifesi, e di quelle persone che non sempre possiedono, di fatto, lo status di cittadino. Il diritto ha dovuto sperimentare che l’ampliamento delle violazioni non riguardavano solo le discriminazioni tra individui o tra popolazioni, ma erano prodotte anche dalle nuove ricerche biotecnologiche, e spesso da una non perfetta sintonia tra scelte politiche e istanze etiche. Le questioni dell’aborto, dell’eutanasia, dell’ingegneria genica, le brevattazioni biotecnologhe, ponevano drammaticamente in contrasto le autodeterminazioni degli individui, con i diritti fondamentali aliud. Si generava un contrasto tra lo ius cogens e la possibilità di scelta, tra diverse interpretazioni etiche e le norme generali espresse nei trattati sui diritti fondamentali. Per ovviare a questa possibile deriva si è adottato nell’approvazione della Dichiarazione dei Diritti umani e Bioetica, approvato dall’UNESCO nel 2005, una strategia di rispettiva reciprocità. In tal senso si tracciava una linea di comportamento che rispettasse le seguenti indicazioni giuridiche:

  •  Riaffermazione dell’intangibilità della vita umana e della sua dignità, prima di qualsiasi interesse di parte;

  • Riconoscimento di un nesso tra diritti e doveri, inerenti alle contestazioni sulle questioni della vita;

  • Subordinazione di qualsiasi norma specifica al senso di equità e giustizia.


A una prima analisi queste indicazioni espresse nella Dichiarazione dei Diritti umani e bioetica potrebbe sembrare di tipo generale e comunque non innovative, rispetto alla tradizione del corpo giuridico. In realtà, nella Dichiarazione si proibisce la vendita e commercializzazione dei brevetti su parti del genoma umano, come si è riaffermata la scelta di difendere gli interessi della persona rispetto a quelli delle spinte tecno scientifiche della collettività: " Gli interessi e il benessere del singolo devono prevalere sul mero interesse della scienza o della società " (Art. 2).
La questione non è di poco conto se si riflette e si comprende che dagli intenti generali il confronto diviene quotidiano nelle scelte etiche da operare nei settori della biomedicina o del biodiritto. Porre al centro la tutela della persona, e non l’interesse del profitto scientifico, dovrebbe operativamente condurre a una programmazione di tutela dei diritti e non di semplice logica del profitto, spesso celato o giustificato da una conveniente adesione ai vantaggi della tecnologia. In conclusione le raccomandazioni internazionali, riguardo al rapporto tra bioetica e diritti umani, riaffermano che qualsiasi diritto debba rimanere ancorato ai principi etici fondamentali, non alle scorciatoie del potere bio - economico.



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